I disturbi comportamentali nella demenza
Barbara Zanchettin
Le demenze sono caratterizzate da un nucleo di disturbi secondari al deficit di memoria e delle altre abilità cognitive al quale si affiancano invariabilmente e con modalità diverse un’ampia gamma di sintomi; questo insieme di manifestazioni patologiche viene attualmente definito come “Sintomi comportamentali e psicologici nella demenza” (BPSD, cioè Behavioral and Psychological Symptom of Dementia) e negli ultimi anni ha ricevuto sempre maggior attenzione da parte dei clinici, allo scopo di identificare strategie terapeutiche più efficaci, sia farmacologiche che
non-farmacologiche.
I sintomi comportamentali costituiscono un problema clinico di non sempre semplice gestione, nonché una pesante fonte di stress e sovraccarico assistenziale per i familiari.
La presenza di disturbi comportamentali, inoltre, contribuisce a peggiorare ulteriormente il livello di autonomia nelle attività quotidiane già compromesso a causa dei deficit cognitivi.
I disturbi comportamentali possono essere suddivisi in:
- Sintomi affettivi: depressione, ansia, irritabilità
- Sintomi psicotici: deliri, allucinazioni
- Disturbi della condotta: ciclo sonno-veglia, alimentazione e sessualità
- Comportamenti specifici: vagabondaggio, agitazione, aggressività, vocalizzazione persistente, indifferenza, apatia, disinibizione.
Essi sono la causa più frequente di:
- istituzionalizzazione
- intervento medico e prescrizione farmacologica
- aumento della disabilità
- causa di stress grave per il caregiver
- ridotta qualità di vita del caregiver e per il paziente
- aumento dei costi economici della malattia
Pur non essendovi molti studi diretti a chiarire se le diverse manifestazioni psicologiche o comportamentali possano identificare una forma specifica di demenza, le osservazioni finora condotte indicano che il quadro sintomatologico, anche se può variare da individuo a individuo, è solo in parte legato all’eziologia della malattia.
Di solito i sintomi a comparire più precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva (ansia, preoccupazione eccessiva, tristezza), mentre negli stadi più avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento, del pensiero e quelli percettivi (agitazione, erronei riconoscimenti, deliri).
Studi più recenti e condotti su un numero rilevante di pazienti hanno confermato che non sempre la gravità della demenza è associata ad un peggioramento dei BPSD.
Inoltre gli stessi autori hanno evidenziato che:
- nella demenza vascolare (VaD) la gravità della demenza non sembra avere alcun impatto sulla frequenza dei BPSD eccetto per apatia e attività motoria aberrante;
- nella demenza a corpi di Lewy (LBD) la frequenza di deliri, allucinazioni, disinibizione e disturbi del sonno aumenta con la severità della demenza;
- nella malattia di Alzheimer (AD) la severità della demenza è spesso associata con un aumento della frequenza dei BPSD clinicamente rilevanti.
Il dato certo è che i BPSD sono molto frequenti in ogni forma demenziale ed è stato calcolato che nel 90% dei casi è presente almeno uno di questi sintomi.
Generalmente i BPSD compaiono durante la fase iniziale e centrale della malattia, regredendo progressivamente quando la demenza ha raggiunto lo stadio avanzato e diventa predominante la grossolana compromissione del quadro neurologico.
Non tutti i disturbi sono contemporaneamente presenti in uno stesso malato e in ogni malato questi sintomi assumono espressioni diverse, sia per quanto riguarda la forma che per la gravità/intensità del comportamento.
Da uno studio di Folstein e Bylsma del 1994 la frequenza delle alterazioni nelle demenze risulta essere la seguente:
- Irrequietezza 64%
- Aggressività fisica e verbale 50%
- Manierismi e movimenti ripetitivi 43%
- Alterazioni del ciclo sonno-veglia 39%
- Pedinare, spiare 32%
- Vagabondaggio 4%
- Comportamenti inappropriati 21%
- Disturbi dell’ appetito 16%
Come è stato già detto in precedenza la comparsa dei disturbi comportamentali dipende solamente in parte dall’eziologia della malattia, infatti, oggi si sa che nello scatenare i BPSD otre ai fattori biologici rivestono un ruolo importante anche fattori psichici (personalità premorbosa e predisposizione), fattori ambientali (ospedalizzazione o trasferimento) e anche fattori interpersonali (stress del caregiver e scarse relazioni sociali).
Si capisce come in realtà risulta esserci una patogenesi bio-psico-sociale. Si riconoscono poi cause iatrogene (assunzione di anticolinergici e benzodiazepine), cause psichiche (depressione) e cause somatiche (flogosi e dolore).
L’approccio terapeutico dei disturbi comportamentali da diversi anni è stato basato soprattutto sull’uso dei farmaci antidepressivi e neurolettici, senza che tra l’altro vi fossero indicazioni ed evidenze sulla loro efficacia in queste particolari patologie.
Negli anni ’90 la disponibilità dei nuovi neurolettici “atipici” (risperidone, olanzapina e quetiapina) ha indotto, come era naturale, i clinici ad inserirli nel loro arsenale terapeutico in quanto caratterizzati da una minore incidenza di effetti avversi rispetto ai neurolettici classici, con particolare riguardo agli effetti extrapiramidali.
Anche questo approccio si è rivelato insoddisfacente; nel tempo alcune ricerche hanno infatti dimostrato che i farmaci solo poco efficaci nel trattamento di alcuni sintomi comportamentali della demenza come per esempio il vagabondaggio.
Negli ultimi anni è emersa sempre di più la consapevolezza che un approccio differente è possibile: questi disturbi non debbono essere considerati meramente come sintomi della malattia, bensì – almeno in una certa misura – come modi che un paziente, che ha difficoltà intellettive e sensoriali ed è incapace di comprendere l’ambiente che lo circonda e di esprimere il suo disagio, ha di reagire agli stimoli ambientali o di esprimere bisogni insoddisfatti che non è più in grado di comunicare verbalmente.
Vi sono ormai diverse evidenze che dimostrano come alcuni “comportamenti problematici” del malato con demenza rappresentano una risposta ad esperienze di dolore o di disagio fisico, al bisogno di contatti sociali oppure una reazione alla noia e all’inattività.
Oggi si pensa che questi comportamenti siano espressione di una discrepanza fra i bisogni del malato e la capacità di soddisfarli da parte dell’ambiente fisico e sociale che li circonda. Ma se è così, bisogna cercare, nella misura del possibile, di comprendere il significato di questi sintomi e di fornire risposte adeguate.
Bisogna cercare, nella misura del possibile, di comprendere il significato di questi sintomi e di fornire risposte adeguate. Le difficoltà che si incontrano sono molte: prima di tutto la capacità verbale è spesso compromessa e quando invece è conservata il malato non è in grado di riconoscere i propri bisogni e quindi di comunicarli, quando la comunicazione verbale non è possibile bisogna utilizzare la comunicazione non verbale.
Altre difficoltà riguardano le limitazioni sensoriali e motorie che coinvolgono questi paziente per cui è difficile trovare attività in cui impegnarli.
AGITAZIONE
Il problema : tra i disturbi del comportamento l’agitazione rappresenta la sintomatologia di più comune riscontro, e può presentarsi in vario modo, da una semplice irrequietezza fisica, all’incapacità di stare fermi, sino alle forme più gravi di ansia e di aggressività.
I Bisogni: l’agitazione può essere causata dalla difficoltà del malato ad adeguarsi a situazioni nuove, oppure da una situazione clinica concomitante che provoca dolore o disagio. In altri casi, può essere in gioco l’assunzione di farmaci mal tollerati. Occorre comunque verificare la presenza di una causa scatenante, per cercare di limitare le conseguenze.
Cosa fare: è sempre opportuno domandarsi se la causa del comportamento del malato proviene da dentro il malato oppure dall’ambiente esterno, al fine di individuare le possibili cause e quindi rimuoverle.
Questo può non essere un compito semplicissimo anche perché spesso sono presenti contemporaneamente più cause; tuttavia, la conoscenza del malato e la assidua osservazione dei suoi comportamenti da parte di chi gli vive accanto, costituiscono un valido ausilio nella ricerca delle possibili cause.
- È sempre opportuno chiedere al medico curante se qualcuno dei farmaci assunti può essere fonte del disturbo.
- Per quanto riguarda l’approccio verso il malato è opportuno utilizzare toni di voce calmi e rassicuranti, non rimproverarlo, orientarlo con tatto nello spazio e nel tempo, avvicinarsi con atteggiamento affettuoso e rassicurante lodandolo per qualcosa. È utile anche attirare l’attenzione del malato su cose che lo interessano.
- Se è presente una malattia organica, soprattutto se comporta dolore, i tempi di risoluzione della crisi di agitazione possono essere anche lunghi e sono direttamente collegati alla riduzione/scomparsa dello stimolo organico disturbante.
- È inopportuno affrontare il malato avvicinandolo da parte di più persone contemporaneamente in quanto ciò scatena in genere l’effetto contrario: aumenta l’agitazione ed induce risposte di tipo difensivo e quindi aggressive.
Raccomandazioni: cercate di rendere l’ambiente tranquillo e silenzioso. Mantenete una musica di sottofondo e una luce diffusa. Offrite al malato degli oggetti rassicuranti da tenere tra le mani e incoraggiatelo a svolgere una leggera attività fisica. Evitate le stimolazioni eccessive, controllate che non abbia dolori o i sintomi di una malattia concomitante.
AGGRESIVITÁ
Il problema: nella fase intermedia della malattia può succedere che il malato manifesti improvvisi sbalzi di umore di fronte ad avvenimenti che in realtà, visti dall’esterno, appaiono del tutto privi di importanza.
Il malato, in questi casi, presenta un comportamento aggressivo:
- grida, strilla
- brontola, sgrida, rimprovera urlando
- può arrivare a compiere gesti aggressivi: picchiare, sferrare calci o pugni, tentare di colpire con un oggetto chi gli sta vicino
I comportamento aggressivo tende a scomparire in pochi minuti, lasciando il malato in uno stato di confusione. Può capitare che non sia neppure in grado di ricordare quanto è appena accaduto.
Anche situazioni del tutto comuni e innocue possono scatenare reazioni catastrofiche. In questo caso il malato reagisce in modo irragionevole ed eccessivo ad un cambiamento, ad una frustrazione o a un piccolo insuccesso.
I Bisogni: il malato generalmente reagisce generalmente ad una situazione che gli incute paura, senso di pericolo o di frustrazione. Può spaventarlo una posizione sbagliata di chi lo assiste, o un atteggiamento che vive come troppo dominante, autoritario.
Altre volte, la causa va ricercata in un insuccesso nelle attività di vita quotidiana:
allacciare i bottoni di un vestito, aprire i cassetti di un armadio: l’incapacità gli ingenera un’insopportabile frustrazione.
Anche cambiamenti improvvisi dell’ambiente possono esserne causa: rumori acuti e troppo forti, oscurità o luce eccessive, stimolazioni allarmanti.
In alcuni casi, l’aggressività può costituire il segnale che il malato ha un problema fisico: dolore, stitichezza, un’infezione.
Infine, anche l’assunzione di certi farmaci può aver contribuito a scatenare o a peggiorare la sua sintomatologia.
Cosa fare: restare sempre calmi, parlate a bassa voce e cercate di distrarre il malato con gentilezza. Dimostratevi rassicuranti, ma al tempo stesso autorevoli. Una volta sedata l’agitazione, cercate di scoprirne le cause scatenanti, in modo da evitare il più possibile che si ripresenti: il malato non diventa aggressivo per un motivo specifico, ma non lo diventa senza motivo.
Limitate tutti i fattori scatenati: quelli ambientali, quelli derivanti dalla difficoltà di svolgere attività quotidiane, quelli che possono dipendere dal vostro atteggiamento. La parola d’ordine è “semplificare”.
Elogiate sempre il malato per il suo comportamento adeguato, ma non rimproveratelo in modo eccessivo per quello sbagliato. Rischierebbe di non capire e di fraintendervi. Controllate che il malato non abbia febbre, dolore o altri disturbi facilmente identificabili.
In presenza di episodi ripetuti, o comunque seri, rivolgetevi sempre al medico. Potrebbe diagnosticare che la causa scatenate dell’aggressività è legata ad un’affezzione concomitante, o ad una terapia farmacologica poco tollerata. In ogni caso, potrebbe consigliarvi di somministrare al malato un farmaco in grado di controllare la sintomatologia e di restituire una certa autonomia all’ambiente famigliare.
Raccomandazioni: non considerate l’aggressività del malato come un’offesa personale! Nella grande maggioranza dei casi, i suoi gesti, pur se incontrollabili, non sono rivolti verso di voi: semplicemente, non è in grado di controllare le proprie emozioni e d il proprio comportamento. Può essere capitato anche a voi di perdere la pazienza di fronte al comportamento aggressivo del malato di cui vi prendete cura. Non tormentatevi con l’angoscia, ma considerate l’incidente come un segno evidente dello stress a cui siete sottoposto. Confidatevi con un amico che vi possa sostenere, parlatene con il vostro medico. Scambiate le sensazioni sulla vostra esperienza con quella di altre persone che si trovano in situazioni analoghe. Avete davvero bisogno di aiuto, e comunicare il vostro disagio può essere la prima cosa da fare.
COMPORTAMENTI ALIMENTARI PARTICOLARI
Il problema: sotto questa voce sono annoverati numerosi comportamenti particolari che possono verificarsi nel malato, singolarmente o in associazione fra di loro, e in stadi diversi della malattia.
Il malato chiede continuamente cibo e/o si lamenta, anche con insistenza, che non gli si dà da mangiare, anche se ha appena terminato di mangiare. È possibile anche che il malato ‘rubi’ il cibo approfittando di momenti di distrazione dei familiari, senza naturalmente rendersi conto di ciò che fa.
Sono possibili anche comportamenti in antitesi fra di loro quali mangiare con voracità oppure serrare la bocca e rifiutare di alimentarsi e di bere. Altre volte il malato gioca con il cibo (es.: mescola i cibi, travasa, manipola…) dentro e fuori dal proprio piatto, assolutamente ignaro di ogni etichetta. Può anche accadere che il malato sputi i pezzi di cibo più solido ritenendoli corpi estranei. Soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia, il soggetto può ruminare il cibo senza deglutire, anche per periodi brevi, prima di ritornare a periodi in cui ritorna a masticare normalmente.
I Bisogni: tali comportamenti sono in genere caratteristici della fase intermedia e/o avanzata della malattia. Talvolta la loro comparsa è del tutto imprevedibile e improvvisa: in tali casi potrebbe collegarsi alla presenza di malattie organiche o all’assunzione di alcuni farmaci. Ambienti in cui si ha la presenza di un numero eccessivo di stimoli rispetto alle capacità attentive del malato possono essere fonte di un peggioramento dei comportamenti alimentari.
Cosa fare:
- quando il malato continua a chiedere cibo:
- È utile frazionare i pasti principali in tanti spuntini. È importante infatti che la persona mangi a sufficienza, quindi ha scarsa rilevanza che lo faccia ai pasti principali.
- Come sempre, con questi ammalati, è importante che siamo noi ad adeguarci alle loro necessità ed esigenze, piuttosto che insistere a chiedere loro di rispettare convenzioni e abitudini che ormai sono più “nostre” che loro.
- È dunque utile non negare loro sempre il cibo ogni volta che lo chiedono, ma tenere a disposizione qualche boccone o alimento anche di facile somministrazione (frutta, yogurt, biscotti integrali, caramelle).
- Altrettanto utile può essere distrarlo tenendolo occupato in altre attività che risultino per lui piacevoli.
- È sempre importante rendere inaccessibile ogni sostanza non commestibili quando il malato tende ad ingerire qualsiasi cosa.
- È altrettanto buona la regola di non spazientirsi in presenza di questi comportamenti del malato ricordando anche che talvolta il tempo a lui necessario per mangiare diventa molto più lungo rispetto alle abitudini precedenti la malattia.
- quando il malato non mangia e non beve:
- Si può provare a ricercare alimenti e bevande che siano particolarmente graditi al malato (per es. cibi dolci oppure cibi che si sapevano molto ambiti dal malato prima della malattia o quando era più giovane).
- È importante anche non insistere ad alimentare il malato negli orari tradizionali, ma sfruttare tutti i momenti della giornata e della notte per provare a farlo bere e mangiare.
- È utile ricordare anche che le infezioni della bocca o problemi legati a un cattivo utilizzo della protesi dentaria sono frequenti in questi ammalati e provocano spesso difficoltà ad alimentarsi o rifiuto del cibo.
- Se il rifiuto del cibo perdura per qualche giorno è necessario consultare il medico curante perché valuti l’opportunità di impiego di integratori alimentari o di modalità di nutrizione artificiale.
- Nelle fasi avanzate di malattia può rendersi necessario utilizzare accorgimenti particolari: ad es. l’alimentazione con il biberon sfrutta il mantenimento di un meccanismo automatico di suzione/deglutizione. Non si deve avere in alcun caso il timore di trattare il malato come un bambino, ma occorre ricordare che l’obiettivo principale di questa scelta è permettergli di nutrirsi adeguatamente posticipando il più possibile l’impiego di tecniche di alimentazione artificiale, sicuramente meno naturali e più invasive.
- quando il malato gioca con il cibo:
- Innanzitutto è importante verificare che nell’ambiente non vi siano condizioni che creano confusione nel malato; in secondo luogo, si può provare a dargli un cibo alla volta, a fornire una posata alla volta e solo quella funzionale al cibo che deve mangiare e che il malato è in grado di usare; a farlo mangiare a tavola da solo, in modo che non riceva disturbo dalla presenza di altri commensali, la cui presenza e i cui movimenti potrebbero distrarlo e rendergli quindi più difficile organizzare i gesti e le azioni necessarie al compito di mangiare. Il fatto di isolarlo, separarlo dagli altri non deve essere visto come una azione contro il malato, ma a suo favore. Tale scelta deve infatti essere modificata non appena ci si renda conto che non è efficace per il malato.
- In ogni caso, il malato non va mai né rimproverato né deriso ed è fuoriluogo pretendere che il malato rispetti le regole formali (etichetta/bon-ton).
DELIRI, ALLUCINAZIONI E FALSE IDENTIFICAZIONI
Il problema: può succedere che il malato manifesti dei deliri, cioè delle credenze immaginarie e false, che vengono mantenute a dispetto della realtà. Ad esempio, potrà lamentare che i suoi famigliari gli hanno rubato un oggetto prezioso. Altre volte, potrà avere delle cattive identificazioni: pur riconoscendo che il coniuge è proprio il coniuge, potrà identificarlo come un impostore. Anche le allucinazioni (cioè delle percezioni senza oggetto, siano esse visive o uditive) potranno spesso disturbarlo, facendo parte della sintomatologia definita “non cognitiva” della demenza.
I Bisogni: deliri e allucinazioni possono essere fonte di grande angoscia per il malato. È pertanto importante combattere questi sintomi, che possono determinare un grave impatto sulla vita quotidiana. Il loro onere assistenziale spesso porta a ricorrere all’istituzionalizzazione.
Cosa fare: è molto importante la reazione di chi si prende cura del malato per la gestione di tale disturbo comportamentale.
- Si suggerisce dunque, per esempio, di non smentire il malato e di dimostrargli che si comprende il suo stato d’animo.
- È assolutamente inopportuno deriderlo, ma è meglio assecondare i suoi discorsi, cercando nel contempo di tranquillizzarlo e di riportarlo, con tatto, alla realtà assumendo un ruolo protettivo e rassicurante.
- È sempre utile individuare, al fine di ridurle o eliminarle, quando possibile, le fonti ambientali del disturbo (ad es. coprire gli specchi e/o il televisore; ridurre i rumori di fondo) e cercare di distrarlo attirandone l’attenzione su qualcosa che normalmente gli risulta piacevole.
- Va da sé che se bruschi cambiamenti di ambiente possono scatenare il disturbo, occorre accuratamente evitarli o comunque prestare la massima attenzione ogni volta che il malato cambia ambiente.
- Infine, è indispensabile chiedere al medico curante di verificare l’adeguatezza dei farmaci in uso o la presenza di malattie/disturbi organici eventualmente causa dei deliri stessi.
Raccomandazioni: segnalate il problema al medico. Anche in questo caso potrebbe essere alla fine utile ricorrere al farmaco.
Assistere chi assiste: spesso può bastare la vostra presenza a tranquillizzare il malato. Godetevi questi momenti serenità e sentitevi gratificati nel vostro ruolo di cargiver.
INSONNIA E VAGABONDAGGIO
Il problema: gli anziani, in generale, tendono a dormire di meno rispetto agli adulti più giovani. In corso di demenza, questa situazione può aggravarsi, affaticando chi assiste il paziente. I problemi di sonno costituiscono una delle cause principali che motivano la richiesta di istituzionalizzazione.
Il malato, talvolta, manifesta un’inversione del ritmo sonno-veglia: dorme troppo durante la giornata, e trascorre sveglio la maggior parte delle ore notturne. In questi casi richiede attenta sorveglianza: il problema dell’insonnia può infatti essere complicato da episodi di vagabondaggio notturno.
Il malato può cercare di uscire di casa per una passeggiata nel pieno della notte, camminare incessantemente, fare rumore, oppure può richiedere di fare colazione o pranzare mentre tutti gli altri riposano. In generale, il malato tende a camminare per casa e a diventare più agitato nelle ultime ore del pomeriggio: un fenomeno che gli anglosassoni definiscono come sundowning (sindrome del tramonto). In alcuni casi i sintomi, che possono comprendere confusione, ansia, disorientamento, persistono tutta la notte.
I Bisogni: il malato spesso si riposa troppo durante il giorno, e di notte non è abbastanza stanco per dormire. Il buio può disorientarlo: gli rende difficile percepire l’ambiente e lo spaventa. L’assenza di rumori di fondo può incutergli ansia: fa rumore per riempire questo vuoto. In alcuni casi, possono essere in gioco problemi fisici: dolore, stitichezza, un’infezione. Il sonno può anche essere disturbato da problemi di incontinenza urinaria. La presenza di depressione o l’assunzione di certi farmaci possono contribuire a peggiorare la sintomatologia. In questo caso bisogna consultare il medico.
Cosa fare: programmate che il malato trascorra delle giornate attive. Fate in modo che nella mattinata possa svolgere una leggera attività fisica. Se possibile, accompagnatelo a fare brevi passeggiate (munitelo sempre di targhette identificative). Evitate che abbia lunghi riposi pomeridiani, ma scoraggiatelo dall’eseguire compiti faticosi o impegnativi nel tardo pomeriggio. La serata deve trascorrere senza forti stimoli, ad evitare il sundowning.
Controllate la sua dieta, evitando la somministrazione di cibi o bevande stimolanti. Limitate la cena ad un pasto leggero, ma impedite che vada a coricarsi affamato.
Consentitegli di dormire nelle stanze che ritiene più familiari. Disponete delle luci, che gli permettano di orientarsi, e non fatelo sentire isolato.
Identificate le possibili cause del disagio fisico, consultandovi con il medico di fiducia.
Raccomandazioni: rendete l’ambiente di casa più possibile sereno. Evitate l’uso di troppi specchi, che possono spaventare il malato. Fate sempre filtrare un po’ di luce. Mantenete una musica di fondo.
LABILITA’ DEL TONO DELL’UMORE
Il problema: quando compare questo disturbo del comportamento, il malato passa rapidamente e improvvisamente dal sorriso al pianto o alla rabbia, e viceversa, in assenza di cause evidenti; oppure, il malato reagisce emotivamente in modo non coerente rispetto alla situazione, al contesto, allo stimolo: ad es. piange per cose che non hanno contenuto triste oppure trova ridicole cose che non sono spiritose o ancora, ride in circostanze inopportune. Compare prevalentemente nelle fasi intermedia e avanzata della malattia.
Cosa fare: occorre assumere un atteggiamento rassicurante se il malato piange o mostra tristezza, cercare di comprendere se è riaffiorato un ricordo del passato con contenuti tristi ed evitare di contraddire il malato se ride per qualcosa che non è spiritoso. Può essere anche utile unirsi al suo riso.
- Si può altresì tentare di assumere un atteggiamento materno: accarezzare, abbracciare, cullare il malato come se fosse un bambino piccolo può essere efficace.
- Anche distrarlo, introducendo nell’ambiente nuove persone oppure facendo parlare il malato al telefono con qualcuno che lo rassicuri rispetto al suo problema, può essere altrettanto efficace.
- Non sempre gli interventi di chi si prende cura del malato, anche se corretti, producono un risultato.
- Occorre allora lasciare che il disturbo si esaurisca da solo.
DEPRESSIONE
Il problema: quando è presente questo sintomo il malato appare malinconico, il suo volto è triste, compare spesso il pianto. Oltre a questi sintomi, il malato può lamentare dolori vaghi e diffusi, dormire meno e male, agitarsi facilmente; spesso appare stanco e affaticato; a volte perde l’appetito e cala di peso. Può apparire nervoso e irritabile
Cosa fare: è opportuno stimolare il malato a svolgere qualche attività che lo interessa e che è ancora in grado di svolgere al fine di produrre in lui la soddisfazione per la riuscita. È opportuno consultare il medico che valuterà l’utilità di farmaci anti depressivi.
La cura della persona con demenza si pone, per il carattere di malattia cronica della demenza stessa, come cura a lungo termine che progressivamente impone soluzioni sempre più articolate.
Infatti la demenza, con la sua lunga durata, la sua inguaribilità, l’irreversibilità di molti suoi aspetti, con il prodursi di una disabilità psichica, ma anche fisica, con l’instabilità clinica, ma anche comportamentale che accompagna proprio le fasi moderato-severe di malattia, con il suo divenire nel tempo sempre più patologia che dal singolo si estende al nucleo familiare e a tutto il contesto di vita del malato, richiede interventi tanto più complessi quanto più complessi si fanno i bisogni.
Obiettivo centrale della cura nelle diverse fasi della malattia, ma ancor più nelle fasi avanzate, è la promozione del benessere della persona.
Riferendoci a un concetto di benessere inteso come minor distanza possibile tra ciò che la persona vorrebbe essere e ciò che la persona di fatto è, possiamo operativamente definire il benessere come il miglior livello funzionale possibile per quella persona, in assenza di segni di stress. Il perseguimento di tale obiettivo rende necessaria la costruzione di un sistema di supporto alla vita della persona con demenza, sistema in grado di sostenere piuttosto che cimentare il malato, capace di comprendere la peculiarità della disabilità creata dalla malattia, ma al tempo stesso di cogliere e valorizzare le competenze residue così come le preferenze e i desideri del malato stesso.