di Mario Vio
Alla fine, dopo un rinvio per maltempo ed un altro per contrattempi, l’uscita è nata!
Era prevista sin dall’inverno quando, terminando il secondo laboratorio autobiografico dedicato alla scrittura nel disagio ed in particolare al fattore “tempo”, nacque l’idea di trovarci tutti insieme per andare “fuori”.
Un “fuori” che, come già l’anno precedente alla conclusione del primo Laboratorio, era in verità un “oltre”; ed il “tutti insieme” non era solo il gruppo, pur consistente, dei Partecipanti al Laboratorio, ma tutti davvero, familiari, parenti, amici.
Così all’inizio della Val Cellina, al bivio di Montereale, attirati dal miraggio di almeno un po’ di frescura, fra bimbi e adulti ci siamo trovati in venticinque.
La strada corre svelta, e fra tunnel e più antichi tracciati sembra in pochi chilometri di passare il confine tra il paesaggio dell’ovvio e quello del desiderio, dominato da orizzonti alpestri e da solitudini benevole.
E’ breve il tempo per arrivare alla piana Cimoliana e , poco più in su, al Passo di S.Osvaldo e subito dopo ad Erto: siamo arrivati, arrivati sul luogo della grande Frana, e catastrofe, del Vajont.
Il Paesaggio si fa più monitore che arcigno, l’animazione sullo spiazzo della Cappella a ricordo delle Vittime è viva ma è anche turbata; inizia alle 10,30 la visita guidata: abbiamo la ventura di essere introdotti alla vicenda da un Signore coinvolto nella narrazione nella testimonianza.
Sapremo dopo pochi minuti che è stato Sindaco del luogo, ha vissuto da vicino, affettivamente e burocraticamente, il complesso, anzi inestricabile, “dopo”.
Siamo un po’ confusi dal seguire l’illustrazione e dal guardarci intorno, un panorama che “prende” da qualunque lato si guardi….ci attende il percorso guidato, in massima sicurezza, sul ciglio, o “coronamento” della Diga, che come tutti sanno ha resistito alla spaventosa frana (meglio anzi usare il termine “finimondo”, prendendolo a prestito da una delle tante testimonianze che si offrono lapidarie lungo il cammino).
Dall’altra parte della valle, cioè dopo il percorso sopra la diga e la valle, in vista del salto e del corso del Piave con Longarone (una “prima volta” per tutti noi), il panorama ancora s’impone e, grazie ai pannelli rievocativi, la Memoria ci accoglie, nella sua crudezza ed insieme nobiltà: siamo qui per ricordare, siamo qui per (tentare di) capire, siamo qui per riflettere: a molti sorgono interiori i “perché”, di tanti, eterni “perché” che da quel lontano/non lontano 9 ottobre 1963 rimbombano come quell’onda distruttrice e, ora, sulle pareti della diga e della valle oggi inerti ed inutili.
Le illustrazioni della “Guida” ci accompagnano lungo il rientro alla piazzetta della Chiesa, poi ci muoviamo verso Casso, frazione del Comune di Erto e Casso che oggi è abitata da 17 anime, più un bar che si offre come punto di ritrovo: anche questo posto è una scoperta per molti, a differenza di Erto le case sono più alte, testimonianze mute di una epica e perenne lotta con gli spazi angusti che la Montagna solo offre; la luce del mezzogiorno del dì di festa attenua i silenzi quasi tombali, fa emergere una solennità particolare, minore, religiosa, austera, chissà…….
La parentesi del pranzo si consuma in un paio d’ore, anche piuttosto calde, ma poi la Guida ci dà appuntamento alle vecchie scuole di Erto, di Erto vecchia, e così il pomeriggio si apre all’insegna della testimonianza all’insegna dell’impegno: l’impegno per ricostruire, l’impegno per dialogare, l’impegno per non far precipitare le tensioni, le amarezze, i conflitti che hanno lacerato la Comunità dei pochi sopravvissuti, restati o fuggiti altrove, impegno per manifestare rispetto a tanti scomparsi (anche nel nulla, non tutti, anzi molti non hanno lasciato ai propri Cari nemmeno il simbolico conforto d’una tomba…).
L’impegno, ancora, per comunicare “oltre” la val Cellina, che oggi in una ampia estensione vede neanche duemila abitanti: comunicare per far sapere, per far riflettere, per tenere vive domande, “perché”…perché è successo (e si sapeva cosa sarebbe successo!), per testimoniare alle Generazioni nuove e future, alle prese con una Memoria storica e sociale che continuamente sfugge, non lasciando segno, traccia, sedimento, monito….
Qualche goccia di un improbabile temporale prolunga l’attenzione di tutti nel porticato della ex-Scuola: l’edificio ora è il “Centro visite” del luogo, è memoria a tutto tondo, emotiva e razionale, immagine e descrizione, della tragica Vicenda. Ed il gruppo, sul finire della giornata, prenderà più strade, da quella del rientro alla visita appartata del centro memoriale, non trascurando una lenta passeggiata lungo la via principale di Erto vecchia, che testimonia con gli abitanti e qualche casa in ricostruzione una volontà di offrirsi un domani.
L’anno scorso l’Associazione, alla fine del primo Laboratorio autobiografico, fece un passeggiata sulla Riviera triestina, lungo il sentiero Rilke, facendosi abbracciare da mare e cielo.
Quest’anno ci hanno avvolto monti feriti e memorie lancinanti.
Rilke ci ha ricordato i suoi versi, ad Erto vedi tracciate frasi sui muri…
La poesia è davvero ovunque, basta cercarla con il cuore.