Le nostre proposte alla Regione FVG

Inseriamo il documento che nel 2009 abbiamo consegnato all’Ass. Kosic, in occasione della stesura del libro verde sulla Sanità Regionale.

Pordenone, 15 aprile 2009

Ogg:

Suggerimenti e richieste per nuove politiche regionali in merito alla Malattia di Alzheimer

 

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Quali strumenti per poter far partecipare maggiormente gli operatori ai processi progettuali decisionali e valutativi?

La formazione permanente continua per tutto il corso della vita è l’elemento fondamentale per rendere tutti gli operatori sociosanitari consapevoli del processo di crescita sociale di cui fanno parte.

Anche i cittadini dovrebbero essere formati LLP con appropriati programmi di educazione sanitaria.
Nel caso di pazienti affetti da MDA inseriamo nel gruppo operatori anche i caregivers familiari.

In merito alla partecipazione del cittadino ai processi di cura, esistono
già ad oggi in regione esempi di formazione interattiva tra target svantaggiati e personale socio sanitario in merito alla malattia di
Alzheimer (MDA).

L’interattività consta nello scambio di informazioni, specchio della differente professionalità, utili al percorso di cura, di scambio di
relazioni dirette tra tutti gli operatori coinvolti nel piano
personalizzato; creare empatie e gruppi di lavoro duraturi (in cui vengano considerate anche le famiglie su cui grava il 90% del lavoro di cura) nel tempo è un metodo efficace .
Diagnosi precisa e personalizzazione della cura , permettono di avere meno fallimenti, meno spese inutili in cure standardizzate, ed incentivazione dell’utilizzo delle abilità residue nel malato , migliorando la sua qualità
di vita e la qualità di vita di tutta la famiglia. Riducendo inoltre i
fallimenti ,che per le aziende sanitarie equivalgono ad uno spreco di denaro pubblico.

Pensiamo che nel caso di Malati di Alzheimer il ruolo del MMG debba essere fortemente supportato da un team specializzato di medici e operatori socio sanitari che in sinergia tra loro lavorino con la persona e la famiglia.

L’utilizzo di specialisti (ottorini, dermatologi, oculisti, cardiologi) dei distretti è risultato essere inutile, perché nella maggior parte dei casi
non è stato possibile raggiungere una diagnosi, ne precisa ne imprecisa, perché il paziente è risultato non collaborativo. E’ evidente che questo
tipo di percorso e spreco del tempo del personale, significa la non soddisfazione della richiesta di aiuto della famiglia ed il trattamento,
sempre come “acuzie”, di una malattia cronica nelle sua varie sfaccettature
(pensiamo ai disturbi comportamentali), è una spesa non più
giustificabile per l’azienda Sanitaria.
Ovviamente le varie malattie in stato acuto vanno trattate come tali.

In quale misura la formazione aziendale o di ambito locale deve essere orientata e guidata da un livello regionale di programmazione e di priorità?

In merito alla Malattia di Alzheimer non ci risulta ad oggi che vi sia un
prevalente orientamento regionale. Chiediamo fortemente che la regione dia indirizzi attuali per la messa in atto di dispositivi minimi di tutela delle garanzie di cura per i malati di Alzheimer.

Precisiamo che non ci riferiamo solo alle possibili cure relative al progetto Cronos o alla presenza di centri di valutazione Neuropsicologica e dei Disturbi Cognitivi in regione, che hanno il compito di fare diagnosi , ma di centri in grado di dare risposte alla richiesta di presa in carico del paziente in tutta la sua complessità, in grado di supportare la famiglia dai primi disturbi comportamentali, all’ ultimo periodo della malattia caratterizzato da piaghe da decubito, convulsioni e stati comiziali.

Un livello minimo di assistenza territoriale e domiciliare omogeneo sul territorio regionale potrebbe diventare volano per tutte una serie di
attività territoriali che riguardano la tutela dell’anziano e del disabile
in genere, non rischiando di divenire mero supporto di apparato, ed incentivazione alla burocrazia, incapace di creare ricadute positive sul target finale.

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Quali modalità organizzative distrettuali potrebbero ridurre la quota di accessi impropri al pronto soccorso?

Distretti più presenti con la medicina territoriale, con team multiprofessionali che lavorando in sinergia con MMG siano in grado di seguire i pazienti affetti da MDA e le famiglie.

La maggior parte dei pazienti affetti da MDA si rivolge al pronto soccorso nei momenti di crisi, non di emergenza. Esiste un’alta percentuale di interventi richiesti per problemi comportamentali.

Ad oggi manca nei distretti una figura professionale in grado di dare risposte adeguate alla richiesta di presa in carico del paziente da parte della famiglia.

Una famiglia seguita da personale con conoscenze specifiche è in grado di gestire a domicilio un disturbo comportamentale, e di riconoscere i disturbi che invece indicano la presenza di una patologia acuta.

Ovvero l’irrequietezza, sintomo di dolore fisico è diversa dall’ansia
causata dalla paura.
Una famiglia ben informata su questi aspetti non si
reca al pronto soccorso nella richiesta di aiuto che nella maggior parte dei casi viene erogato in forma di sedativo e non di diagnosi precisa della malattia in essere.

I pazienti di MDA in stato medio,grave e molto grave sono
non-trasportabili. C’è necessità di un servizio territoriale di tutela della persone in Piano Terapeutico per rendere possibile effettuare l’elettrocardiogrammma trimestrale a domicilio con conseguente refertazione da parte dello specialista cardiologo.
C’è anche necessità di attuare eletroencefalogrammi a domicilio per quei pazienti in cui convulsioni e stati comiziali si intensificano nel tempo.

Questi servizi a domicilio, nell’ambiente in cui il paziente riconosce la propria casa, e si sente in ambiente protetto rendono più veri i risultati e
più precisa la diagnosi.

Le analisi in ospedale sono falsate dallo stato di agitazione che il
paziente prova per non essere nel proprio contesto, sono inutili e sono uno spreco di denaro della collettività.
Solo servizi territoriali infermieristici, medici rafforzati e
personalizzazione della cura possono far diminuire gli accessi al Pronto soccorso.

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Quali risorse potrebbero confluire sul FAP?

Crediamo che nella nostra regione debba essere adottata la modalità del “Budget di Cura” che in parte potrebbe confluire nel FAP, ma che ne incorpora, oltretutto, le finalità rendendo il cittadino disabile e/o la sua famiglia protagonista/i delle scelte di indirizzo di vita familiare.

Come associazione pensiamo che la dignità del malato e della famiglia si rafforzino e siano più percepiti attraverso l’esercizio volontà e del rispetto della capacità di scelta di ogni singolo partecipante familiare
all’attività di cura.

Pensiamo che al fine di potenziare le opportunità di permanenza a
domicilio di pazienti affetti da MDA, l’Ufficio di Piano per l’Ambito in collaborazione integrata con l’Ass ed gli enti ed organismi partner pubblico/privati, debba erigare, nell’ambito del progetto di assistenza personalizzata di tipo domiciliare “Help Hand” un contributo economico in forma indiretta, già sperimentato come “Budget di Cura”, valorizzato su un periodo individuato e condiviso, e correlato alla entità dell’impegno assistenziale e/o della tipologia di servizio programmato.
Il “Budget di Cura”, che prevede la gestione in forma indiretta da parte degli utenti, si integra nella rete dei servizi disponibili sul territorio così
come individuati nell’ambito del Piano di Zona. L’erogazione del beneficio economico deve essere collocata nella prospettiva del riconoscimento, in favore di utenti, delle famiglie o di altri caregivers, di un titolo
sociale per l’acquisto di servizi per l’autonomia personale e l’inclusione sociale, funzionali al piano di assistenza personalizzato elaborato
dall’ equipe multiprofessionale e corrispondente alla soddisfazione del bisogno espresso e valutato, necessari a sostenere uno standard di autonomia domiciliare ed extra domiciliare delle persone che necessitano di assistenza permanente, continuativa e globale sia nella sfera individuale che in quella relazionale.

I tempi delle personalizzazione della cura devono essere sgravati da
inutili iter burocratici.

Un piano personalizzato è tangibile e quindi utile quando la risposta del sistema alla richiesta di aiuto è in tempo reale, non ci possono essere 6 mesi di attesa tra un UVA e quella successiva, non vi possono essere 2 mesi di attesa perché il team multiprofessionale dia l’ assenso per un intervento, perché si crea sfiducia da parte del sistema utenza (malato e famiglia) nei confronti dei servizi.
Fino ad oggi la sensazione dei familiari è che si sia creato più apparato che servizio al cittadino in forma tangibile.

Con il budget di cura, la personalizzazione del percorso e la quantificazione del carico familiare (e quindi anche il riconoscimento e quantificazione del valore del lavoro di cura della famiglia) si possono ridurre notevolmente tutti gli sprechi delle visite, dei farmaci utilizzati in modo standardizzato e delle cure non personalizzate a cui i pazienti di MDA sono sottoposti.

Quali potrebbero essere gli strumenti più adeguati per facilitare la permanenza a domicilio delle persone con malattie croniche e con disabilità?

Anche qui pensiamo che lo strumento più agevole potrebbe essere il Budget di cura.

Nel caso di MDA l’offerta pubblica di servizi sanitari ed assistenziali che sostengono la permanenza a domicilio risulta eterogenea sul territorio, nel senso che quel po’ che c’è, è in ogni caso insufficiente, e non copre il territorio provinciale.

E’ un classico caso di servizi erogati sul territorio a macchia di Leopardo.

Benché le strutture residenziali per anziani esistenti in provincia diano dati allarmanti sulla presenza di “dementi”, di fatto non esiste una politica sanitaria e finanziaria che tuteli questi malati a livello regionale.

Sono urgenti:

  • campagne di sensibilizzazione sulla prevenzione e sull’intercettazione di MDA di grado leggero;
  • tempi più brevi di diagnosi per incidere in modo positivo e costruttivo
    sulle dinamiche che sottendono al lavoro di cura in famiglia;
  • sburocratizzazione dell’iter che riguarda l’invalidità civile con l’idennità di accompagnamento, con conseguente presa in carico da parte del distretto sanitario della famiglia e costruzione di un rapporto di fiducia tra ASS e famiglia;
  • inserimento all’interno del distretto sanitario di uno sportello
    informativo, ad oggi gestito da AFAP onlus;
  • formazione dei MMG sulle demenze;
  • risorse territoriali più concrete e reale possibilità di personalizzare la
    cura e la gestione della malattia per la famiglia;
  • centri diurni in forma visibile ( ovvero gestiti all’interno di locali
    precisi con attività stanziali ) o in forma invisibile ( ovvero itineranti),
    dove ai pazienti con forma di demenza leggera o medio grave deambulanti si permette di partecipare ad attività giornaliere sul territorio e di socializzare (es ogni pomeriggio passeggiata in città, parco , museo etc) dovrebbero essere gestiti direttamente dall’ ASS.

Considerare la demenza solo un problema sociale e dimenticare che è una malattia mette la famiglia in una situazione di impotenza relazionale con le istituzioni, che molte volte diviene solitudine nella cura.
Rendere la famiglia partecipe del processo di cura, e non vittima della burocrazia è sicuramente il primo passo per migliorare la qualità di vita
dei pazienti e dei caregivers.
“La scarsa qualità dell’assistenza erogata dalle assistenti familiari”
(libro verde pg 27), del tutto supposta, è comunque fondamentale per la famiglia.
Accompagnare le badanti in questo percorso potrebbe essere utile attraverso la sperimentazione di corsi di base delocalizzati ed omogenei sul territorio per la loro professionalizzazione.